Verzamelde werken. Deel 2. Nederland
(1948)–Johan Huizinga– Auteursrecht onbekend
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[Nederlandsche cultuurgeschiedenis]La formazione del tipo culturale OlandeseGa naar voetnoot*Per chi ama le gioie dell'intelletto e si compiace d'indagare la storia dei popoli e dei pensieri di quest' Europa ricca e vecchia che è nostra, coi suoi tesori del passato e col movimento formidabile del tempo presente, quale diletto più commovente o più puro che di lasciar passare innanzi alla mente la pompa splendida delle culture nazionali, nella loro diversità multicolore e stimolante! Che delizia di gustarne il sapore specifico come dei vini di diversi paesi, d'ascoltarne il timbro variato come degli strumenti di una orchestra. Se talvolta sono dissonanti, alla fine si risolveranno nell'armonia generale ed eterna dello spirito. Culture latine, culture germaniche, slave, celtiche! Sono troppo grosse queste distinzioni, perchè soltanto entro quei gruppi così larghi si manifesta la natura propria e specifica che contrappone il Danese allo Svedese o il Portoghese allo Spagnuolo. Prendendo a trattare della cultura olandese, ho paura che il pubblico italiano abbia di questa una nozione meno viva e precisa di quella che ha delle culture scandínave. Riportandosi a queste esso rievocherà subito le figure gravi e cupe del mito antico nordico, della saga islandese, e poi ricorderà le parole serie e tristi che ha pronunziato il nord del Kierkegaard e dell' Ibsen e di tanti altri ben conosciuti. Se pregassi gli italiani di richiamarsi l' immagine della cultura olandese, quali figure sorgerebbero nella loro mente? Mi pare indubitabile: reminiscenze di pittura. Figure di Rembrandt, ritratti di Frans Hals. Forse una visione vaga di pianure, di acque stagnanti e di tranquillità. S'intende che tali nozioni non bastano ad esprimere l'identità complessa e singolare d'una nazione ricca d'una storia di parecchi secoli d'indipendenza politica e culturale. Bisogna riempire di linee e di colori quest'immagine indecisa. Ma come potranno bastare poche pagine a descrivere lo sviluppo di un tale tipo particolare e irriducibile di cultura europea? Per iniziarci all'argomento possiamo ricorrere a questo espediente; determinare per contrasto la posizione e la qualità di quell'entità nazionale fra le altre più grandi e meglio conosciute. | |
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Si chiede dunque: data la configurazione triangolare delle tre grandi culture del nord-ovest europeo: inglese, francese, tedesca, dove stà l'Olanda? Evidentemente nel mezzo. Risposta troppo semplice, è vero, e pure avendo stabilito questo, s'è già ottenuta una chiave per risolvere la questione. Segue naturalmente la domanda, a quale delle tre vicine l'Olanda si trova più affine, nel carattere, nelle abitudini, nelle idee. Sarebbe facile deciderlo, se si trattasso soltanto della consanguineità nel senso antropologico ed etnico. È una nazione puramente germanica. La lingua congenere, la stirpe comune e anche il passato politico del medio evo, connetterebbero l'Olanda più strettamente alla Germania, se nella determinazione d'una nazionalità questi elementi contassero per tutto. Ecco però la singolarità del nostro argomento: che nel caso dell' individualità nazionale olandese gli elementi dell' azione umana e anche della sorte hanno prodotto una separazione profonda dal corpo etnico più affine, per avvicinarla di più a genti più remote, agli inglesi, anzi agli scandinavi. Ho detto l'azione umana e la sorte. Sarebbe preferibile forse di sostituire ai due un altro concetto che esprime il fondo della nostra storia e della nostra proprietà nazionale: il mare. Il mare ci ha fatti una entità culturale, il mare ci ha fatti indipendenti. Tuttavia un tale salutare riflesso d'una condizione geografica non si realizza mai senz'essere complicato dalle circostanze multiformi dei secoli. La formazione del tipo culturale del l'Olanda è una storia cangiante e agitata, remota già e insieme assai recente. Fra le nazioni d' Europa l'olandese non è certo una delle più antiche. Fissando l'occhio ad un punto qualunque del medio evo, diciamo il dugento, troviamo già esistenti come tali quasi tutte le nazioni d'Europa, fuorchè la nazione svizzera e quella dei Paesi Bassi. Ambedue sono ancora per la maggior parte inviluppate nel grande corpo dell' Impero germanico. Le cause del distacco ulteriore si corrispondono nei due casi soltanto in parte assai esigua. Lasciando da parte il caso della Svizzera, ci si chiede ora, se possiamo distinguere in qualche modo cagioni generali ed intrinseche determinanti questo processo di distacco nazionale, all' infuori degli innumerevoli fatti così detti fortuiti, attraverso i quali s'è realizzato l'evento importante della nascita d'un nuovo figlio nella famiglia europea. Ad una tale questione la storia ha soltanto una risposta: sarà sempre impossibile analizzare la complicazione eterna dei fenomeni umani. Ho nominato il mare come il più importante degli elementi geo- | |
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grafici. Vi si devono aggiungere tre grandi fiumi che vengono da paesi di vecchia cultura e prosperità: il Reno, la Mosa, la Schelda, i quali convergendo nel loro corso inferiore e formando un triplice delta, predestinavano questa regione ad essere un campo di attività marinara senza pari. Di fronte, oltre il mare, l' Inghilterra doveva invitare alla navigazione gli abitanti dei Paesi Bassi qualunque essi fossero. Tuttavia queste condizioni geografiche, quantunque predisponessero quelle contrade ad esser abitate da una popolazione marinara, in nessun modo portavano in sè la conseguenza ulteriore d'un distacco dal gran corpo politico che le rinchiudeva quasi tutte, e neppur della secessione etnica e nazionale che a questa popolazione era riserbata nel grembo dei secoli. Oltre che della configurazione geografica, si deve tener conto dell'elemento frisone nella composizione del popolo olandese. Dai tempi più remoti il litorale, dove confinavano Gallia e Germania, era stato la sede della tribù dei Frisoni, ramo specifico del gran tronco germanico. I Frisoni, in quanto alla lingua, stanno nel mezzo fra gli Anglosassoni ed i Bassi Tedeschi. Il loro tipo antropologico fino ad oggi si distingue chiaramente tra la varietà generale della popolazione olandese: occhi azzurri chiari, naso lungo e stretto, labbra sottili, e, inquanto allo spirito, frequente capacità matematica. Nei secoli del regno carolingio e poi fin'al trecento tutta la costa dalla Visara fin'alla Schelda si chiamava Frisia. Vuol dire che i Frisoni, come elemento etnico, come razza, avevano assorbiti o sloggiati gli altri componenti di origine sassone e franca? Nient'affatto. C'è una penetrazione reciproca di tre elementi etnici, nella quale il frisone non è stato predominante, poichè la lingua olandese si sviluppò sulla base d'un dialetto basso franco e non frisone. Il predominio dei Frisoni, durante i secoli dall'ottavo fino all'undecimo, deve esser rappresentato come politico e economico. Del resto noi non ne sappiamo quasi nulla. Un argomento che ci proibisce d'ascrivere la separazione dei Paesi Bassi dalla stirpe tedesca ad una forza formativa della razza frisone è che la tribù frisia stessa non divenne un'unità politica. Da una parte orientale rimase compresa nell' impero germanico. Soltanto la Frisia occidentale ha partecipato alla formazione della nuova entità nazionale dei Paesi Bassi. Inoltre in quel processo durato molti secoli l' impulso formativo non fu dato dal nord frisone ma dal sud fiammingo e brabantino, che mai non aveva subìto l'ascendente frisone. | |
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Il preludio medievale dell' indipendenza olandese ha la sua scena nella Fiandra, paese orgoglioso e ricco, di Gante e di Bruggia, dei conti che divennero imperatori in Bisanzio, più tardi dell'arte splendida dei van Eyck. La Fiandra, che oggi forma due provincie importanti del regno belga, fu paese di fiere e turbolenti borghesie, di abbondanza proverbiale, quando l'Olanda era un paese quasi ignoto di pescatori e coloni. Pei popoli del mediterraneo la Fiandra ha dato il nome a tutti coloro che provenivano dalle rive di quella costa remota. I latini distinguevano già quei Fiamminghi dai Tedeschi comuni. Ebbene la Fiandra, nonostante la sua popolazione in maggior parte germanica di razza e di lingua, era terra di Francia, eccetto una regione meno importante che apparteneva all' Impero. La grande opera dei re di Francia, i quali riunendo l'uno dopo l'altro i grandi feudi alla corona avevano stabilito il regno, mai non venne compiuta nei riguardi della Fiandra. Frattanto la cultura francese, cavalleresca, cortese, poetica, religiosa, scolastica, andava diffondendosi, durante alcuni secoli, in tutti i Paesi Bassi, non senza ritrarne più d'una influenza spirituale e molte forze vive. La delimitazione tra cultura romanica e germanica era debole e fluida. Regioni puramente romaniche come l' Hainaut, Namur, Liegi, erano terre d' Impero. Per le vie fluviali della Schelda e della Mosa ed in mille altri modi l'influsso francese entrava continuamente in quella parte estrema dell' Impero germanico. Gli imperatori, occupati dalla politica superba dei Sali e degli Svevi, che faceva loro perdere l'autorità anche nell' interno della Germania, appena si curavano di quelle parti remote. Queste, avendo il loro appoggio nel mare, non si curavano più del nesso col regno interno. L' influsso lento e continuo della cultura francese s'esercitava non soltanto sulla Fiandra e sul Brabante, ma anche più oltre, sull'Olanda, sulla Zelanda, sull' Utrecht, unico vescovado di tutta questa regione periferica. Una lingua comune, puramente germanica, ma differente non soltanto dall'alto tedesco ma anche dal basso tedesco che si parlava nei paesi dell' Hansa, univa già Fiandra, Brabante, Olanda. La faccia di queste regioni era voltata verso la Francia. Pian piano le abitudini, lo stile del parlare e della vita, il pensiero si formavano piuttosto sul modello francese che su quello della Germania. Bisogna ripetere: queste circostanze non sarebbero bastate per staccare i Paesi dall' Impero germanico. Ci voleva una concatenazione di disegni politici, riusciti o mancati, e di casi biologici, della morte | |
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di principi, della nascita o mancanza di eredi, per determinare quel doppio evento pieno di conseguenze per la storia di Europa: prima la secessione definitiva di tutti i Paesi Bassi dall' Impero e insieme dalla Francia, e poi la scissione di questa nuova unità in due parti, che finalmente sarebbero state l'Olanda e il Belgio, due stati, due nazioni. La forza motrice che diede l' impulso a quel processo intricato si chiama Borgogna, cioè la dinastia venuta dal sangue di Francia, che illustrano i nomi gravi di ricordi di superbia e di violenza, di lusso e d'arte, dei duchi Filippo l'Ardito, Giovanni Senza Paura, Filippo il Buono, Carlo il Temerario. Fu appunto quel voto secolare della corona di Francia di riannettere la Fiandra, che suggeri una politica il cui risultato fu tanto differente da ciò che si era sperato. Il primo duca di Borgogna, figlio del re di Francia, ha sposato l'erede di Fiandra e Artesia. Fra poco i suoi figli e nipoti succederanno anche nel Brabante, nel Hainaut, in Olanda, in Zelanda, a Namur, nel Limburgo, nel Lussemburgo. Un intero ammasso di provincie prospere e ricche, tutte quante terre d'Impero (fuorchè la Fiandra e l'Artesia) unito alla Borgogna forma ora un dominio con un proprio centro di gravità, rivale della Francia. Invece di ricondurre alla corona i feudi allontanatisi, la fortuna di Borgogna aveva creato uno stato minaccioso e ben tosto nemico, per una parte situato nel corpo stesso di Francia, per l'altra quasi libero da qualsiasi pretesa. Già la lunga tradizione di ostinata vendetta fra case di Borgogna e d'Orleans esacerbava quelle relazioni politiche. Verso quel periodo del Quattrocento, quando la coesione di queste parti inferiori cominciava ad attirar l'attenzione dell'estero, la denominazione di Paesi Bassi s'introduce nelle lingue d'Europa. Era ancora appena un nome proprio. S'incontravano in quell'aggruppamento di contee e ducati unità romaniche e germaniche: Artesia, Hainaut, Namur contro Fiandra, Brabante, Olanda. L'ascendente della cultura francese s'era raddoppiato ora che regnava una dinastia francese, però non tanto da romanizzare il paese da cima a fondo. La fortuna di Borgogna crollò con la sconfitta e con la morte di Carlo il Temerario nel 1477. Però l'Austria ereditò i paesi e si accingeva a mantener le tradizioni di Borgogna. Nel Cinquecento il possesso dei Paesi Bassi, con la metropoli commerciale d'Anversa, con la grande forza navale d'Olanda, con la dominazione del grande estuario di tre fiumi, è uno dei pilastri della politica d'Europa. | |
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Quando anche quel ricco patrimonio passò dalle mani dell'imperatore Carlo Quinto a quelle del re di Spagna suo figlio, fu appunto la preponderanza di Spagna, quasi sovrana allora nel mondo, a farle perdere di vista l'importanza propria di quei paesi. Quest'importanza esigeva una politica rivolta al loro proprio interesse. Lo spregiò la Spagna, si sollevarono le provincie neerlandesi, e la Spagna ne perdè la metà. Questa metà settentrionale che divenne libera, la Repubblica delle Sette Provincie Unite, fin'allora era stata la parte meno importante, meno ricca e celebre. A confronto della Fiandra e del Brabante, di Brugia, Ganta, Anversa, Brusselle, Lovanio, le contrade di marinai e pescatori ch'erano l'Olanda, la Zelanda, la Frisia, le città modeste d'Amsterdam, Dordrecht, Utrecht, Middelburgo, erano sembrate distanti e irrilevanti. Ora eccole vincitrici d'una guerra per la libertà, disperatissima, mentre il sud di vecchia e nobile fama, dopo una lotta di parecchi anni, ma di poca concordia, rientrava nella dominazione spagnuola. La scissione dei nord dal sud s'è prodotta assai irrazionalmente. Non seguì la frontiera linguistica. Una grande zona di lingua germanica, fra cui quasi tutta la Fiandra, rimase compresa nel dominio ricuperato dagli spagnuoli. Ci si chiede ora se questo evento irregolare ed impensato può spiegarsi come risultato di cause più remote di natura etnografica o altre, ovvero deve intendersi come prodotto delle vicissitudini della sorte e dei fatti particolari. Sebbene sia possibile di allegare alcune cagioni economiche, sociali, religiose e specialmente idrografiche, cioè strategiche, per spiegar il successo del nord e la sconfitta del sud, un giudizio veramente storico deve contentarsi della complicazione inestricabile delle cause generali e speciali, e ha da computare la serie ordinata degli eventi innumerevoli ed imprevedibili. Fra tanti elementi c'è però un fatto d'importanza sovrana, cioè la corsa eroica del Principe Guglielmo d'Orange. Tutta l'importanza incalcolabile ed irriducibile della grande personalità si rivela in esso. La storia della libertà olandese gravita sull'Orange, sulla sua vita e sulla sua morte. Poichè, circostanza strana e tragica, soltanto questa morte aprì la via al ripiego impreveduto d'una costituzione puramente repubblicana. La nuova repubblica delle Sette Provincie Unite, ormai campo fertile per il crescere della nazione olandese, era d'un tipo piuttosto arcaico che rivoluzionario. Vi regnavano i princípi antiquati dell'autonomia municipale e provinciale. La classe dirigente nel | |
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governo e che dava l'impronta alla cultura era quella del commercio, prospero nelle numerose città, patriziato colto e in fondo assai borghese. La provincia di Olanda, la prima e la più ricca delle sette, era predominante nello stato, egemonia che ha fatto sì che il nome d'Olanda, propriamente un membro soltanto, nel linguaggio degli stranieri si estendesse al tutto, significando l'insieme della repubblica. La guerra d'indipendenza durò fino alla metà del Seicento, però molto prima, circa il principio del secolo, la libertà era sicura, e in pari tempo stupenda la prosperità, imponente la potenza, meravigliosa la fioritura delle arti e delle scienze. Di tutto questo il fondamento materiale erano il commercio e la navigazione. La fortuna d'una situazione economica e politica eccezionale aveva permesso agli Olandesi di arricchire il vecchio dominio della loro mercatura nel Mare Baltico, nella Scandinavia, in Francia, ecc., colle nuove relazioni vantaggiose nel Levante, e presto con la parte ampia e lucrativa nella conquista dei mercati d'Asia e anche dell'America. Il potere del commercio olandese d'oltre mare, felicissimo nelle Indie, sistendeva fino aFormosa e al Giappone, alla Persia ed all'Arabia, alle Antille ed al Brasile. Gli olandesi avevano combattuto per la libertà e pel commercio finchè bisognava, ma non appena fu compiuto quel grande edificio della loro prosperità, la pace d'Europa ne divenne la condizione necessaria. Pacifica d'indole e poco militare di costumi la nazione del nuovo stato accettava di buon cuore la politica di pace che prescriveva loro la salute della patria. Tuttavia il fermento degli stati d'Europa per lungo tempo non avrebbe permesso alla Repubblica, così centrale e così impigliata in tutti gli affari del mondo, di star in disparte dalle lotte dei regni vicini. Suo malgrado fu costretta a guerre navali e terrestri contro Inglesi e Francesi. Il bisogno di persuadere le provincie della necessità d'una politica armata e pronta urtava sempre nello spirito nazionale e nell'imprevidenza delle classi prospere e agiate. S' incontrarono due tendenze operanti nello stato e nella cultura, cioè da una parte quella dell'autorità centrale rapprensentata dallo Statolder, cioè luogotenente del potere reale sparito, posto ricoperto dalla gloriosa discendenza dell'Orange, e dall'altra quella dell'autonomia provinciale e municipale, fondata sui governi delle città e sugli Stati della provincia principale, cioè l'Olanda nel senso più stretto. Questo contrasto corrispondeva più o meno ad un altro | |
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di ordine spirituale, antitesi che possiamo esprimere chiamandola coi nomi di due ingegni grandi, cioè Erasmo e Calvino. Nella rappresentazione usuale che si dà della storia di Olanda questo paese conta come esempio perfetto d'uno stato e d'una cultura di carattere calvinista. Una tale nozione trascura la metà dei componenti dell'oggetto. L'Olanda, prima di divenire uno dei ripari del Calvinismo, era stata la patria d'Erasmo, patria molto affine al suo spirito, quantunque egli pretendesse di stimarla poco. Lo spirito d'Erasmo, spirito di pace e di concordia, d'umanità tollerante, poco dogmatico, di morale pura e dolce, di serietà ragionevole e spregiudicata, s'era diffuso largamente nelle menti del popolo istruito del suo paese. Un umanesimo sinceramente cristiano e moderatamente classicista formò la trama di questa cultura. Eppure quello spirito erasmiano non sarebbe bastato a fondare la libertà nella lotta aspra e pertinace. Ci voleva per di più un altro spirito, meno largo e tranquillo, più esclusivo e fiero, più pronto all'insurrezione contro la somma potestà terrena. Tale fu lo spirito del Calvinismo. Veniva dunque quella forza della ribellione da oltre i confini della patria comune. Il Calvinismo, nato in un cervello piccardo, manifestatosi nel repubblicanismo ecclesiastico di Ginevra, si impose alla mente dei popoli dovunque si trattava di rompere rapporti d'autorità antica, vincendo per la chiarezza francese della sua dottrina semplice e stretta. La sollevazione dei Paesi Bassi contro il regime spagnuolo fu l'opera del Principe d'Orange, ma la vittoria fu quella del Calvinismo. In tutte le città donde s'erano ritirati i presidî spagnuoli, minoranze energiche e risolute di calvinisti rigorosi assunsero la dittatura. Mentre la strategia del duca di Parma ricuperava pian piano le provincie del sud, sopra tutto dopo la presa d'Anversa nel 1585, gli elementi tenacissimi del calvinismo di Fiandra e di Vallonia espatriavano in Olanda, Zelanda, Utrecht, dove aiutarono a sostener la lotta fin'all'esito glorioso ed imprevisto. Così il Calvinismo trionfante colse i frutti della liberazione della patria. La vittoria gli rese il dominio ecclesiastico e politico, ma in nessun modo un assoggettamento completo del popolo alla sua dottrina. Vi restavano molti cattolici, nobili, borghesi e contadini. Vi si trovavano molti Mennoniti, ramo pacifico e prospero degli Anabattisti. Ci venivano i giudei, i poveri della Germania, ma anche gli istruiti e ricchi del Portogallo, il popolo dello Spinoza. E oltre a ciò la chiesa riformata di confessione calvinista urtava nell'erasmianesimo | |
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da lungo diffuso nell'ambiente patrizio e letterato delle magistrature municipali, la sfera spirituale di Grozio. Il contrasto tra queste due correnti del pensiero, insieme coll'antitesi politica descritta qui sopra, a cui corrispondeva largamente, produsse una situazione critica che sboccò in una collisione assai breve fra il potere centrale rappresentato dal Principe d'Orange Maurizio, esecutore dei richiami ecclesiastici, e quello degli Stati provinciali di Olanda rappresentato dal vecchio capo della repubblica Barnevelt. Il sangue sparso fu poco, ma preziosissimo, cioè quello del Barnevelt. Dopo questo conflitto del 1618 la situazione spirituale e culturale della giovine nazione olandese fu quella d'un equilibrio non troppo turbato. Regnava il calvinismo e pretendeva riserbarsi le cariche ufficiali. Tuttavia il suo tono aspro, austero, puritano s'era mitigato. Non aveva mai avuto la forza e forse neanche la volontà di perseguitare gli eterodossi. Lo zelo dei pastori era reso inefficace dallo spirito umanista dei reggenti. Un sistema non tanto di vera tolleranza quanto di connivenza permetteva ai dissidenti una vita molto sopportabile, nel commercio, nell'agricoltura, e persino negli impieghi militari dove entravano sempre i cattolici nobili. Quando si chiede, se la cultura olandese del suo gran tempo, cioè del Seicento, possa chiamarsi cultura calvinistica, la risposta deve essere la seguente. Tutta la vita pubblica e privata della nuova nazione ne portava l'impronta: dalle mura nude delle chiese fin alla foggia del vestire grave e nera che si vede nei ritratti. Per la nascita dello stato il calvinismo aveva significato quasi tutto, nella vita morale del paese continuava al valer molto. Quanto alla politica della Repubblica, al tempo della grandezza, il calvinismo la dirigeva a malappena, quantunque fortificasse il coraggio ferreo che spronava alle imprese di navigazione e di commercio, alle spedizioni di scoperta e di conquista, alla fondazione di colonie. Nelle opere dell'ingegno infine la parte del Calvinismo restava assai tenue. La nostra gloriosa pittura non gli deve quasi nulla. L'architettura ne trasse l'occasione a erigere chiese nuove, dove mancavano le vecchie tolte al cattolicismo diseredato. Una fioritura notevole d'architettura ecclesiastica protestante del seicento dà fino ad oggi una nota grave alle nostre città. Soltanto il modello di queste costruzioni è in buona parte italiano. La letteratura trasse dal Calvinismo talora la materia, talvolta lo spirito, però il suo carattere generale non può chiamarsi calvinistico. Le scienze nuove ed antiche, naturali e filologiche, teoretiche e | |
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pratiche, spiccando un volo altissimo nelle Università fondate di fresco, e anche fuori di esse, s'alzarono più spesso a dispetto del calvinismo che grazie ad esso. Fra i nomi più grandi del seicento olandese non ce n'è uno di calvinista attivo, nè Rembrandt nè il nostro sommo poeta Vondel, convertito dal mennonismo alla chiesa madre, nè Grozio, propagatore d'un cristianesimo largo detto religione naturale, nè Huygens, sprofondato nella spiegazione della natura, nè quel solitario pensatore giudeo, per molti vincoli legato alla sua patria adottiva, che fu Spinoza. * * *
La vita nazionale d'Olanda fino ad oggi presenta una particolarità che riflette il contrasto dei partiti del Seicento, cioè la esistenza di due centri nazionali. Quale città è la capitale dell'Olanda? Alcuni risponderanno l'Aja, altri Amsterdam. Lo sono tutte e due. Lo statuto costituzionale chiama Amsterdam capitale del regno, e la realtà vi corrisponde. Amsterdam è cuore e cervello del paese, è l'unica grande città, d'impronta specialissima e indimenticabile. Tuttavia l'Aja è la residenza reale, è il centro del governo, sede dei ministeri e del parlamento, del tribunale supremo, anche del tribunale permanente di giustizia internazionale. Atmosfera mentale tutta diversa da quella d'Amsterdam. Da questa si diffonde la vita del commercio, vita da metropoli, mentre l'Aja è ambiente di corte, di diplomazia, di funzionari, di ufficiali a riposo, specialmente del servizio coloniale. Il contrasto delle due città ci parla sempre della opposizione storica tra il centralismo rappresentato dai Principi d'Orange e dagli Stati Generali contro il particolarismo delle provincie concentrato nella città potente d'Amsterdam. Oggi l'esistenza dei due centri ci garantisce una certa mobilità della vita nazionale, una possibilità di ripiegarci ora sull'uno dei due princípi ora sull'altro, una preservazione dai danni della limitatezza dell'orizzonte culturale e politico. Voltiamoci ancore verso il Seicento. Nessuna manifestazione della cultura olandese è meglio conosciuta dal mondo che la pittura di quel gran tempo. E davvero nessuna ne rende più chiaramente l'immagine che questa. La pittura di Frans Hals, di Van Goyen, di Ruisdael, di Jan Steen, e di tutti gli altri ci mostra fedelmente non soltanto l'aspetto esteriore del paese e degli uomini, ma sotto questo la natura del popolo, quel tipo culturale che cerchiamo di fissare. | |
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Si vede il paesaggio largo e tranquillo, si vede la vita animata nelle strade delle città e l'intimità delle case. Nel paesaggio domina la lontananza orizzontale, linee molli, atmosfera un po' mesta. Domina l'acqua stagnante o di corso quieto. Le nuvole vi prendono un significato profondo. L'accento vi è messo sulla nave sotto vela e sul bestiame al pascolo. Adagio continuo, pieno dell'alito d'una vita sana e semplice. Nelle vedute di città la bellezza incantevole non sorge dalla purezza o nobiltà degli edifizi, ma dalla disinvoltura di forme modeste e ingenue le quali si dissolvono in un'armonia profonda che suggerisce la vita calda della folla umana. Nei quadri d'interni la luce smorzata fa sognare di parole dolci e di pensieri formati a metà. Ora si pensi per un istante ai trionfi della carne nuda nel Rubens, alla sua magnificenza di suono di tromba, al suo gesto enorme di devozione e di sensualità, per ben rendersi conto della distanza ch'avevano posta fra loro la mente dell'Olanda e quella di Fiandra, così strettamente vicine e affini poco anzi. Chi nella pittura olandese non sa trovare altro merito e bellezza che quella del ritratto accurato e fedele all'esteriore visibile, non è giunto alla comprensione dell'essenza di questa cultura. Questo naturalismo apparente copre sotto la superficie della sua scrupolosità visiva il tesoro d'una coscienza quasi mistica del fondo della vita. E a chi rimproverasse a questa pittura di aver trascurato la purezza della linea e la classicità ideale delle forme per cercare l'espressione del mondo e della vita negli oggetti più umili ed informi, si dovrebbe rispondere che la bellezza è multiforme, indeterminabile, infinita e misteriosa. Alcuni anni fa, un autore famoso, il conte Keyserling, nel suo Spettro d'Europa, venendo all'Olanda, ci ha attribuito una cultura della bruttezza. - Che dirne? Il biasimo di un tal giudizio si volge sempre contro colui che lo pronunzia. Nessun popolo può aver una cultura della bruttezza, perchè i due concetti cultura e bruttezza s'escludono. Se il conte Keyserling in Olanda non ha visto altro che cose brutte (e bisogna dire che l'intende anche nel senso etico) ne risulta unicamente che ha chiuso gli occhi. Ma egli medesimo confessa che ha scritto quel libro a occhi chiusi, unicamente per illuminazione della sua propria mente. Chiuse anche gli orecchi. Perchè ha vilipeso la nostra lingua chiamandola lingua goffa, lingua d'ubriachi, inventata dopo le tre della notte. Mi è grato di cogliere l'occasione per trattenermi un poco sulla qualità della lingua olandese. | |
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È ben noto che le lingue germaniche, eccetto il tedesco coi suoni forti e sonori e lo svedese coll'agilità del suo tono, quando s'odono parlare, fanno l'effetto di una certa monotonia, di poca variazione di suono e di tono, di colore un po' cupo. S'aggiunge per l'olandese l'effetto di raucedine prodotto sugli stranieri dalle nostre gutturali g e ch. Però se s'ascolta un po'più affettuosamente, come si devono ascoltare le lingue straniere, che varietà, che scala ricca, anzi che dolcezza nella nostra lingua, col suono puro delle vocali semplici, colla sfumatura degli i, ij, ui, eu, ou, ieuw, eeuw, con le consonanti non aspirate o affricate come in tedesco, danese, inglese. La sintassi e la costruzione dell'olandese sono rimaste molto più libere delle tedesche. Non voglio esaltare la mia lingua sopra le altre sue sorelle. Richiamo soltanto il suo diritto ad esser udita, intesa, compresa, ad esser ascoltata nelle voci dei suoi poeti, e non giudicata secondo il parlare della gentaglia che si trova in tutti i paesi. Se quell'autore cosmopolita avesse letto dieci pagine della lirica di Herman Gorter, di Henriette Roland Holst, di Guido Gezelle, prete fiammingo, o della prosa di Artur van Schendel, per citare soltanto dei moderni, avrebbe scoperto la bellezza della lingua, e anche forse vagamente scorto dietro quella l'omogeneità profonda, anzi l'unità misteriosa fra il parlare di quel popolo, la bellezza del loro paese ed il carattere della nazione. Sotto l'aspetto esteriore, semplice e borghese, che riflette la pittura anche dei moderni si lascia indovinare un popolo del quale le virtù si trovano nella sfera della vita seria di ogni giorno. Una storia di almeno quattro secoli di preponderanza del commercio e d'una prosperità generale assai alta, comparandola all'estero, ha stabilito il prevalere in un grado assai elevato della fiducia e della veracità. Al senso dell'economia ascrittoci da tutti gli stranieri corrisponde la modestia usuale del modo di vivere, talora svantaggiosa all'eleganza. L'economia però non impedisce la larghezza e la beneficenza già risplendenti nelle molteplici fondazioni di carità del Seicento e prima, donde s'adornano fino ad oggi le città. Bisogna notare che un forte affetto di famiglia e il senso dell'ereditarietà del patrimonio impediscono talvolta le grandi donazioni d'utilità pubblica. Il fondo etico della nazione è fatto, come osservava già Erasmo, per nulla lodatore della patria, di mansuetudine e d'amor di pace, amor di pace che non esclude affatto il coraggio personale o nazionale nè la prontezza e fermezza per difendere il proprio diritto. Il senso | |
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della giustizia è forte, l'indole poco appassionata permette un grado assai alto d'equità, di ragionevolezza e di tolleranza. I conflitti politici violenti sono rari, quantunque la tenacia della persuasione propria o comune produca la divisione in partiti innumerevoli e sovente ridicoli e anche il settarismo religioso già vecchio. Gli stranieri rimproverano alla gente nostra la flemma e la freddezza, un manco d'ardore e di fantasia. Aggiungono questi giudici poco favorevoli anche un'avidità sproporzionata di guadagno. È vero? Quanto a quest'ultimo difetto sia lecito osservare che nel commercio internazionale di oggi l'Olandese certamente non conta come il peggiore. Quanto alla flemma e alla freddezza, sono il rovescio di cose buone, i difetti d'una qualità. Del resto tali qualificazioni d'un carattere nazionale sono sempre evasioni facili nella generalità, dove manca la visione delle singolarità. Quando si vuole ricorrere al fondamento di quel carattere che condiziona la combinazione delle sue proprietà, sarà sempre da notare la costituzione profondamente borghese di quello stato e di quel popolo. Mi guardo bene dal prendere ‘borghese’ in un senso sfavorevole, sia artistico, sia marxista. Intendo ‘borghese’ come espressione di tutte le virtù che possono generare in un popolo la vita delle città e la consuetudine dei mari. Sono fra quelle virtù la giustizia e la fiducia ferma e forte, il rispetto degli altri, la semplicità e la serietà. La disposizione generale dello spirito olandese è piuttosto intellettuale che affettiva. Però quella propensione a tenersi all'aspetto ragionevole delle cose ci conduce poco a quel bisogno dei Tedeschi di cercare dietro le cose i concetti astratti e profondi nei quali si perde la visione della proprietà immediata e viva. Lo spirito olandese è inclinato verso il concreto, è generalmente nominalista più che realista nel senso scolastico. Tutta la cultura olandese riflette questa disposizione. Per quanto concerne le scienze naturali, dove dal Seicento i nomi celebri rivaleggiano con quelli d'Italia, l'Olanda produsse più sperimentatori, inventori, esploratori, calcolatori che filosofi teoretici. Nella sfera dell'arte quella propensione si mostra nella preponderanza della pittura sulle altre arti, e dentro la pittura la preponderanza del ritratto e del paesaggio. La rappresentazione della realtà visiva ha sempre attirato il talento olandese. Ne ho già parlato, e non è più necessario che insista. La visione profondamente pittorica si estende alla letteratura. Quanti scrittori e poeti olandesi, dal Brederoo e Hooft fin ai mo- | |
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derni, hanno eccelso nella descrizione accurata e succulenta dell'appariscenza della vita! La preponderanza della visione pittorica è intimamente connessa con un difetto ch'io soglio chiamare la debolezza del senso della forma. Cioè ‘forma’ nell'eccezione profonda di forma spirituale, forma come l'intende il tomismo. Il talento olandese si presta assai poco al romanzo e al dramma. Ci mancano i Dickens, ci mancano gli Ibsen. Eccoci ritornati a un punto che sfioravo nel principio del mio discorso, cioè il diverso grado di celebrità internazionale della letteratura olandese di fronto a quella dei popoli scandinavi. Ci manca la melanconia immensa e vaga del vero nord, che si è cattivato l'Europa intera col suo accento grave e forte. Manco di fantasia? Ci s'ascrive sovente un tal difetto. - Non omnia possumus omnes. Nella composizione d'una mentalità nazionale si trovano dunque sempre tratti che sono il difetto d'una qualita, e anche tali che potrebbero chiamarsi la qualità d'un difetto. All'olandese, come dicevo, manca spesso il sentimento chiaro e schietto della forma, manca talvolta la fantasia. Generalmente egli parla male in pubblico. È scettico di fronte alle grandi parole. Chiede la verità semplice e diretta. E può darsi che la sua placidezza d'apparenza prosaica e fredda sia talora molto vicina ad una accettazione candidissima e quasi mistica dell'esistenza umana. Nell'Europa di oggi l'Olanda, quantunque piccola, occupa una posizione molto centrale. Situata (col Belgio) nel mezzo di tre grandi paesi, Germania, Francia, Inghilterra, legata per molti vincoli al nord e al sud, all'Italia e ai popoli scandinavi, nessuna corrente europea si diffonde senza raggiungerla. Avendo subìta da lungo tempo l'influenza dei paesi vicini, stando aperta a tutte senza riserva, pure non ha perduto niente del suo carattere proprio. Per molti rispetti il suo tipo mentale è la media proporzionale fra gli Inglesi ed i Tedeschi. Si è differenziato da quello dei Fiamminghi, benchè si serbi e si coltivi l'affinità fraterna. Si è sempre tentato di far derivare quel carattere specifico olandese fra gli altri Germani dal fondo etnico funzionante qui dai più remoti tempi, e di vedervi l'elemento frisone. La posizione dell'Olanda non è soltanto centrale, ma anche mediatrice. Non è esagerato sostenere che l'Olanda conosce e comprende le grandi nazioni d'Europa meglio di quanto esse si connoscano e comprendano fra loro. L'olandese istruito legge facilmente le lingue delle tre grandi vicine e sovente l'italiano. Gode senza preferenze e | |
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senza suscettibilità unilaterali dei tesori delle varie culture. Un'attitudine disinvolta e simpatica lo rende capace d'intenderle, più o meno, tutte. Per ciò il suolo olandese è campo attissimo per lo scambio delle idee e per una vera attività internazionale. L'Olanda, unita e omogenea, non ha da sperar nulla da qualcuna delle grandi potenze vicine. Si può permettere il lusso d'una vera imparzialità internazionale, stando in mezzo al mondo atlantico. Appunto il possesso d'una lingua e d'una cultura propria le permette di stare da sè, in equilibrio, senza vacillare o gravitare su lati diversi, come avviene per la bi- o trilinguità al Belgio o alla Svizzere. Inoltre quella centralità non è limitata alla situazione fra Germania, Inghilterra, Francia, anzi è mondiale nel vero senso. Il regno dei Paesi Bassi, per usare una volta il nome ufficiale, è un piccolo paese con una popolazione di circa otto milioni. È nello stesso tempo uno stato circumpacifico di più di sessanta milioni, avendo per vicini il Giappone, gli Stati Uniti, l'Australia, le Indie britanniche e francesi, e anche il Venezuela. Questa estensione e quest'appoggio oltremarini ci conferiscono un peso e una mente mondiali d'importanza suprema per la nostra vita nazionale. L'olandese, comunque fervido patriotta, si sente europeo nato e convinto. Ciò non vuol dire che ci lusinghiamo con illusioni d'una millenaristica età paneuropea, o che ci divertiamo ai sogni antiquati d'un cosmopolitismo utopistico. Appunto i nostri vari rapporti con diverse culture nazionali ci fanno intendere chiaramente il valore irreducibile e duraturo di ciascuna. Però crediamo alla possibilità dell'armonia, tra le nazioni come tra gli spiriti, armonia sperabile non dalla negazione fallace di contrasti reali e vivi, nè dalla concatenazione inconsiderata di cose disuguali e contrarie, ma dalla umile volontà di apprezzare l'indole straniera, pur restando sè stessi, dalla prontezza d'immergersi in uno spirito straniero, mantenendo il proprio. La storia singolare e propizia, che ci ha dato l'esistenza nazionale, ci ha dato anche una scuola di comprensione per le varie culture forse più profonda e più fruttifera che alle altre nazioni. Siamo rimasti ciò ch'eravamo nel Seicento, l'ospite pacifico di tutti, il pellegrino lieto e audace nel mondo, e anche il padrone di casa ospitale, il protettore dei miserabili. Il tipo nazionale e culturale di cui ho voluto descrivere lo sviluppo e l'essenza, non si è mutato molto. Il fremito formidabile della vita moderna non ha assordato finora la melodia della dolce patria che canta nel cuore | |
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nostro, che suona nell'intima coscienza del popolo, ripercossa dalle lontananze delle pianure, dalla silenziosa vastità delle acque e dal velame misterioso del nostro cielo d'argento e d'oro pallido. Questa voce quieta e pura di nazione libera e responsabile, la vogliamo risonante per i secoli avvenire, col suo accento distinto e caro, tra le ltrae voci, forse più forti ed alte, della sinfonia d'Europa. |
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