Dramatische struktuur in tweevoud
(1973)–E.K. Grootes– Auteursrechtelijk beschermdEen vergelijkend onderzoek van Pietro Aretino's Hipocrito en P.C. Hoofts Schijnheiligh
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Bijlage I
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1 | Apollonio (1958, 324):
‘(...): ogni autore si studia di essere originale solo nell' interpretazione di certi dati communi, di certi personaggi e situazioni, che paiono essere gli insostituibili termini di ogni deformazione comica della vita; (...). E si vien via via formando l'immagine (tanto mutevole d'aspetto quanto immobile nella sostanza) di una città avventurosa e amorosa, dove convengono da ogni parte genti per perdere ogni diversità, accomunate in un solo desiderare, dove la giovinezza non sa altro destino che d'amore, dove a poco a poco le persone vive e perciò mutevoli si irrigidiscono in un compito predesignato, in una specie di gerarchia cittadinesca che a ciascuno dà il suo compito e il suo linguaggio.’ |
2 | Luzio (1897, 270):
Brief van Pietro Aretino aan Cosimo, Duca di Firenze (Arch. Firenze, carteggio Cosimo, f. 29, c. 164): ‘Mag.mo Duca La forza de i prieghi di una Compagnia di questi gentilhuomini e il desiderio, che io haveva che Giorgio facesse conoscere le sue virtù qui, mi spinsero a fare una Comedia in otto giorni: la quale ricopiando per mandarla a V. Ecc. mi fu tolta di mano da costoro parendogli che le cose che il premio di essi havea fatto far per sè non si divulgassero altrove: onde io per sodisfare a la mia volontà in manco tempo de la prima ne ho fatta una altra e così presta e cancellata, male scritta e incorretta come ella è la mando a quella; e ciò ha causato la brevità de i giorni che son di quà a Carnesciale. Ci manca il prologo et un poco di argomento, perocchè il resto è nel principio del primo atto. Ser Vecchia lo portarà. Intanto quella mi restituisca la sua gratia, perocchè il mio core non peccò mai contra di V.S. alla quale bascio la mano. Di Venetia il viiij di genaio 1542. Humilis.o servo Pietro Aretino.’ |
3 | Aretino, Quattro Comedie, 1588, voorrede:
‘Lo stampatore a coloro, che stimano le opere di questo grande Scrittore. S Io non erro (spiriti nobili, e veramente degni di viuere) vi fu, pochi anni sono, presentate, dal grande Stampatore, e libero huomo maestro Barbagrigia romano, le sei giornate di M. Pietro Aretino, e, ne la sua lettera a lettori, s'offerse di volerui dare molte altre sue opere: le quali non essendo, in cosi lungo spatio di tempo, giamai comparse, m'han fatto a credere, ch'egli, occupato in altri suoi affari, o pure da la graue sua etade, o piu tosto da l'importuna morte impedito, non gli sia stato conceduto il poter mandare ad effetto lo'ntento suo. Da queste ragioni adunque, e da l'hauere io scorto in voi l'estremo piacere, che egli vi fece in rimettere a luce le sudette opere; & altresi la grandissima voglia, che egli in prometterui l'altre, vi mise di vederle, mi sono io mosso a presentarui |
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hoggi quattro delle sue diletteuoli comedie, per mezzo de la mia stampa, la quale perauentura non vi parra inferiore a la sua, se ben non intendo di gareggiar con vn cotanto stampatore: ben vi so dire d'hauere vsata ogni cura per daruele ben corrette, e tali, quali egli le fece, non hauendo permesso, che ne sia stato leuato vn iota. (...)’ | |
4 | Borsellino (1962, IX):
‘Essa [sc. la comicità cinquecentesca] non nasce come quella moderna da una “condizione”, ma da una “situazione”; non è la proiezione scenica di un contrasto tra individuo e individuo, individuo e società e famiglia ecc., come nel teatro moderno, ma la rappresentazione di un momentaneo sovvertimento dell'ordine naturale degli eventi che esigenze di una comune moralità tendono a ricomporre. In questo senso la commedia fu nel Rinascimento quello che fu nell'antichità la commedia menandrea e plautina: essenzialmente un vario intreccio di casi, un gioco scenico regolato da una serie convenzionale di personaggi, di espedienti, di norme e schemi drammaturgici, un genere d'intrattenimento, insomma, perfettamente catalogabile nei ranghi della letteratura amena.’ |
4a | Pagnini (1970, 130):
‘È evidente che questo è un fatto di cui lo spettatore non può rendersi conto subito; ma egli è abituato a valutare ogni elemento del dramma - a differenza di quelli della vita - come necessità della logica prammatica; e perciò tiene in serbo il fatto, aspettandone la motivazione.’ |
5 | Petrocchi (1948, 236):
‘(...) un tal guazzabuglio di incontri, di riconoscimenti, di intrighi amorosi, di sostituzioni di persone, di innamorati che si lasciano, che fanno baratto l'un contro l'altro, in un assieme confuso e disorganico.’ |
6 | Sanesi (1911, 241):
‘Anche nell'Ipocrito è grande aggrovigliamento di fatti che però l'Aretino riesce a dominare con occhio sicuro e a far procedere verso la catastrofe con abilità non comune.’ |
7 | Baratto (1964, 78):
‘Le commedie dell'Aretino presuppongono, alla loro origine, solo la “resistenza” di ogni frammento nella “durata” dello spettacolo. Un'analisi letteraria rischia di disperderne le qualità peculiari, di negare (qualunque sia l'essenza di essa nel nostro accertamento) la loro teatralità.’ |
8 | Apollonio (1958, 370-71):
‘C'è nell'Ipocrito un passo dove l'Aretino sembrerebbe proporsi di emulare con la commedia classica nel formar tipi comici. Dice il personaggio che dà il nome alla commedia (I, 2): “Non han che brigare gli Ignatoni con noi altri, conciosiaché il porcheggiare della lor gola mescolato con la assordaggine della lor ciarlia sazia fastidiosamente.” L'Ipocrito, dunque, contrapposto al Parassito? Ma l'intenzione di quella che la critica intellettualis- |
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tica chiamerà commedia di carattere si esaurisce qui: egli ama troppo poco isolare, satiricamente o moralisticamente, un personaggio, farlo protagonista davvero, subordinare a lui una vicenda; gli piace insegnare una realtà disordinata e molteplice, dove ciascuno, nello svariar di una vicenda quasi sempre casuale e illogica, va inseguendo più d'un capriccio; pronto a mutare e a presentare una faccia diversa.’ | |
9 | Apollonio (1958, 375):
‘Allora la sua tormentata pazzia di prima, che cercava con fatica un perché, che s'esprimeva con querula angoscia, che assegnava, anche, ragioni pratiche e morali al suo disagio, trova finalmente un atteggiamento e l'atteggiamento una parola.’ |
10 | Sanesi (1911, 245):
‘(...) uno dei tipi più comici che, non solo Pietro Aretino, ma tutti i commediografi del Cinquecento abbiano mai immaginato.’ |
11 | Parodi (1916, 151):
‘Non è questo un carattere, ma una goffa caricatura. Si può ridere, ma non si prova il diletto dell'arte.’ ‘Invece n'è uscito un fantoccio, un automa, una maschera da carnevale, e si diguazza nella bassa farsa.’ |
12 | Baratto (1964, 142-3):
‘È l'unica soluzione per un autore incredulo, letterariamente, come l'Aretino: costruire la commedia nei suoi “modi” più vari e contrastanti (patetici e comici), e insieme dissiparla mediante un personaggio che diviene, a un certo punto, “insensibile” a quei modi, rinnega la sua parte di padre (tormentato dal “fastidio” di cinque figliuole) e di fratello (che tutti scambiano per il gemello Brizio), e si piglia giuoco di “tutti i contrasti”.’ |
13 | Baratto (1964, 143):
‘Ne nasce un riso arbitrario e assurdo, che separa Liseo da tutti i personaggi: “Rido del riso, che mi fa ridere.” (V, 7). Liseo apre una dimensione di linguaggio che sconcerta gli altri, quelli appunto che restano “personaggi”: non intralcia lo svolgimento della “favola”, ma, ormai fuori di essa, dimostra il carattere fittizio delle parole necessarie all'azione. Ipocrito, infatti, non può impugnarne la logica, ma lo accusa di questo scarto insolito dalla “commedia”: “Voi parlate bene circa lo andare de le parole, ma non servate il dovere del scapolar de i fatti.” (V, 8). Scindendo fatti e parole, negandone la reciproca congruenza, Liseo dissesta dall'interno un mondo teatrale, ne svela, da attore, la falsità.’ |
14 | Guicciardini, Storia d'Italia I, 6 (geciteerd naar Santoro 1967, 11):
‘Incominciò in tale disposizione degli animi, e in tale confusione delle cose tanto inclinate a nuove perturbazioni, l'anno mille quattrocento novantaquattro ... anno infelicissimo a Italia, e in verità anno principio degli anni miserabili, perchè aperse la porta a innumerabili e orribili calamità delle quali si può dire che per diversi accidenti abbia di poi participato una parte grandissima del mondo.’ |
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15 | Santoro (1967, 19):
‘A specchio di quella realtà la civiltà letteraria del Cinquecento riscopriva e riproponeva il tema della “fortuna”: un tema antico e ricorrente nella tradizione letteraria dall'antichità classica al Medioevo all'umanesimo, un topo in cui, attraverso i problemi e i motivi proposti e le soluzioni indicate, si riflette di volta in volta la concezione, propria di ogni civiltà e dei singoli scrittori, della condizione umana. La ripresa di quel tema, lungi da risolversi in una convenzionale iterazione di formule e motivi tradizionali, implicava un profondo impegno morale, sollecitava concretamente (comunque si giudicasse o si spiegasse la “fortuna”) una problematica che investiva le radici stesse del vivere: una problematica che, stimolando da una parte una spregiudicata e schietta ricognizione della realtà e dall'altra un esame delle effettive possibilità dell'uomo di controllare il proprio destino, metteva in crisi la cultura tradizionale o almeno esigeva una verifica della validità e della disponibilità di essa. La fede nella “virtù” che gli umanisti avevano opposta alla fortuna, la persuasione dell'attitudine dell'uomo a costruire la propria esistenza, la fiducia nella sapienza, liberatrice e edificatrice, contrapposta alla barbarie, sembravano vacillare o rivelarsi sentimenti astratti e illusori, al confronto con l'esperienza della nuova tumultuosa realtà.’ |
16 | Machiavelli, Il Principe, cap. 25 (geciteerd naar Santoro 1967, 202):
‘E' non mi e incognito come molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno, e, per questo, potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne' nostri tempi per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì, fuora di ogni umana coniettura. A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Non di manco, perchè el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere esser vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi (...).’ |
17 | Machiavelli, Il Principe, cap. 25 (geciteerd naar Santoro 1967, 203-4; de eerste zin uit Machiavelli 1954, 82):
‘Concludo adunque che variando la fortuna e stando li uomini ne' loro modi ostinati, sono felici mentre concordano insieme, e come discordano infelici. Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de' giovani, perchè sono meno respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano.’ |
18 | Machiavelli, Discorsi II, 29 (geciteerd naar Santoro 1967, 225):
‘Affermo bene di nuovo questo essere verissimo, secondo che per tutte le istorie si vede, che gli uomini possono secondare la fortuna e non opporgliesi; possono tessere gli ordini suoi e non rompergli.’ |
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19 | Machiavelli, Discorsi III, 31 (geciteerd naar Santoro 1967, 226):
‘(...) gli uomini grandi sono sempre in ogni fortuna quelli medesimi; e se la varia, ora con esaltargli ora con opprimerli, quegli non variano, ma tengono sempre lo animo fermo ed in tale modo congiunto con il modo del vivere loro che facilmente si conosce per ciascuno la fortuna non avere potenza sopra di loro.’ |
20 | Machiavelli, Clizia, proloog (geciteerd naar Borsellino 1962, XVII):
‘Ma volendo dilettare, è necessario muovere li spettatori a riso, il che non si può fare mantenendo il parlare grave e severo; perché le parole che fanno ridere sono o sciocche o iniuriose o amorose.’ |
21 | Fresco (1901, 129):
‘La storia commovente di quest'amore, in cui il fantastico ed il meraviglioso si uniscono ad un sentimento pietoso e tenero, si allontana assai dai soliti argomenti comici.’ |
22 | Petrocchi (1948, 238):
‘(...) questo tono melenso e di finto sentimento è proprio insopportabile.’ |
23 | Apollonio (1958, 376):
‘Certo il pocta non crede a questa pazzia amorosa, a questo vago, donchisciottesco ideale d'amore cavalleresco; (...).’ |
24 | Vasari (1923-30, I 112):
‘Dico, che la stanza, doue l'apparato si è fatto, era grandissima; cosi la scena, cio è la prospettiua, figurata per Roma: Doue era l'arco di Settimjo, templum Pacis, la Ritonda, il Culiseo, la Pace, Santa Maria Nuoua, il tempio della Fortuna, la colonna Traiana, palazzo Maiore, le Sette Sale, la torre de Conti, quella della Militia et in ultimo maestro Pasquino, più bello che fussi mai. Nella quale ui erano bellissimi palazzi, case, chiese et infinità di cose uarie d'architettura Dorica, Jonica, Corintia, Toscana, saluatica et composita, et un' sole, che camminando, mentre si recitaua, faceua un' grandissimo lume, per hauere hauuto comodità di fare palle di uetro grandissime. La commedia fu recitata da questi magnifici signori giouani de più nobili; et ui fù grandissimo concorso di popolo, talmente che non si poteua stare per il gran caldo fra i lumi et la strettezza del soffocarsi l'un l'altro.’ (brief van Vasari aan Ottaviano de' Medici; uit Venetië, niet gedateerd). |
25 | Brief van Bernardino Prosperi aan Isabella di Mantova (geciteerd naar Enc. dello Spett. 5, 178):
‘(...) quello che è stato il meglio in tutte queste feste e representazioni è stato tute le sene, dove si sono representate, quale ha facto uno M.o. Peregrino, depintore, che sta con el signore, ch è una contracta [sic; lees: contrada(?)] et prospettiva di una terra cum case, chiese, campanili et zardini, che la persona non si può satiare a guardarla per le diverse cose che ge sono, tute de inzegno et bene intese, quale non credo se guasti, ma che la salveràno per usarla de le altre fiate.’ |
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26 | Innamorati (1957, 16-17):
‘Il fatto è che per la coscienza culturale del XVII secolo l'Aretino non era più nemmeno un nemico da combattere (giacché a questo aveva ben provveduto la seconda metà del secolo precedente), ma piuttosto un simbolo, un generico simbolo di colpa e di peccato, il cui nome parve riassumere una costante negativa dello spirito e contro il quale si venne raccogliendo, quasi in un coagulo di dispregio, l'effetto equivocante della condanna, prima morale e poi culturale, pronunciata da tempo a suo riguardo. Così il nome dell' Aretino fu sottratto alla sua legittima portata letteraria e consegnato alla morale come termine tecnico di ogni prevaricazione ferina e d'ogni sfida irriverente e blasfema alle armoniche leggi della socialità.’ |
27 | Ameyden (1610, fol. 35r-36r; translitteratie van het handschrift (Bibl. Apost. Vat., Mss. Ottob. Lat. 1682)):
Pietro AretinoGa naar margenoot+
Dourei il presente auttore lasciare sepolto
nelle tenebre ne quali uisse; per hauer egli
Ga naar margenoot+con le sue Scritture, infamata se stesso la
Patria, il genere humano. e considerando sola
mente quello ch'ei scrisse contra il Busino
dourebbe esser sufficiente cagione d'abbrugiareGa naar margenoot+
la sua statua doppo morte, e ben si uedeua
che tanta corrottione di costumi non poteua
stare con la religione Christiana, de la quale
egli era gran dispregiatore, Come si può
raccorre de tutte le sue compositioni e
Ga naar margenoot+massimamente, d'una lettera la quale scriue
al Papa, piena d'infamissime ingiurie contro
la Santa Sede, e sottoscriuendo l'istessa lettera
dice. Di Venetia più sicura del Paradiso.
Cosi anchora nel Dialogo de la Pippa, e
Ga naar margenoot+Nanna, e nel Dialogo de la Nanna, et
Antonina, manifestando uia più, l'infet
Ga naar margenoot+tissimo animo suo, fa comparatione, tra ogni
atto meretricio, e'l sacerdotio christiano, cosa
Ga naar margenoot+più tosto di tacerla che di narrarla. Ma oltra
l'esser egli heretichissimo, era anchora maledicen
tissimo, Come appare nel Epitafio che fè
à Paulo Giouio.
Qui giace Paulo Giouio Hermafrodito
Che uuol dir in uolgar moglie e marito
Ga naar margenoot+E a Don Antonio di Leua Marchese del
uasto per hauer egli perduto una gior
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nata in piemonte scrisse questa strophe
Il Marchese del Vasto il gran Nembrotte 36r
Che uolle porre monte sopra monte
L'altrhieri, per codardia nel piemonte
Senza proposit(o?) hebbe à cagir sotto.
Soggiungendo chè uoleua finire il sonetto
se non gli mandaua 50 scudi, gli quali
Ga naar margenoot+il marchese per non dare cagion a si male
dicente lengua, li mando. Gli uersi che
Ga naar margenoot+scrisse alla Marchesa de Pescara, per
non metter in forse, sinistra opinione di quella
Sig.ra non uoglio narrar, le grand infamie
Ga naar margenoot+che scriue á Nicolò Franchi sono tali, che
la penna non sa scriuerle: ma egli à si
dannosa uita, hebbe condegna morte, per
la quale più tosto uiuera che per gli suoi
uersi, molte cose ne potrei dire, ma per
non ischifare l'intelletto con si uil' subietto
uoglio più tosto molto tacere che poco dire’
(Zie over de verhouding van Aretino met Vittora
Colonna en de Markies del Vasto: Sassi 1928.)
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28 | Innamorati (1957, 17):
‘In questo interesse di lettura parallelo alle sollecite ripulse esteriori, si attua l'equivoco più caratteristico della tradizione aretinesca.’ |
- margenoot+
- 35r
- margenoot+
- Pietro Aretino contra il busino
- margenoot+
- 35v
- margenoot+
- lettera infame di Pietro Aretino
- margenoot+
- Dialogo di Pippa e Nanna
- margenoot+
- Dialogo Di Nanna, et Antonina.
- margenoot+
- compositioni infame.
- margenoot+
- Aretino contra il Marchese del Vasto
- margenoot+
- Aretino Contra la Marchesa de Pescara
- margenoot+
- Vittoria Colonna
- margenoot+
- Aretino Contra Nicolò Franchi